Percorso: rifugio Dibona (m.2037) - Col dei Bos (m.2331) - Scala del Minighèl (m.2202) - rifugio Giussani (m.2580)
Dislivello tot. 830 metri - Difficoltà EE (ferrata EEA)
Partenza: dal rif.Dibona raggiungibile in auto (deviazione lungo la strada per il Falzarego) e dotato di ampio parcheggio.
Si sale per la vecchia strada militare (403) fino a Valon de Tofana, per proseguire su sentiero 442 (direzione Grotta di Tofana e ferrata Lipella), che sale a serpentina verso la parete sud della Tofana, splendida e maestosa. Percorrere il sentiero alla base di questa parete (foto 1) è emozione pura: lassù le voci che salgono in cordata (foto 2), laggiù la valle d’Ampezzo con la sua favolosa cornice (foto 3). Per non farci mancare nulla ci si potrebbe imbattere in un branco di camosci, ma non è l’ora e siamo in troppi. Si susseguono invece i segni della Grande Guerra: caratterizzeranno l’intero percorso. Ci dirigiamo verso Col dei Bos (foto 4) tralasciando una prima deviazione a dx per la Grotta di Tofana e anche la successiva, sempre a dx, per Gallerie del Castelletto e ferrata Lipella, che meritano una giornata dedicata. Si aggira il Castelletto piegando verso nord su sentiero 404, tra i ruderi e le trincee di guerra del Col dei Bos, in direzione della Val Travenanzes.
Il valore strategico della forcella e del Castelletto, per il controllo delle Tofane e delle vallate intorno, è la causa della lunga guerra di posizione che si è combattuta da queste parti. E se ne vedono i segni. I grandi massi rotolati a valle, tutti sono stati scavati e trincerati dagli austro-ungarici che occupavano il territorio (foto 5), diventando una trincea naturale facile da difendere (e da pochi uomini), quanto difficile da espugnare. Qui “tutti i sassi hanno gli occhi”, si diceva. E si dava anche un nome a queste postazioni: come il “Sasso misterioso” (foto 6), obiettivo di vani assalti notturni, da cui nessuno tornava indietro. Misteriosamente: ogni guerra ha la sua storia, o leggenda che sia. E’ inevitabile, come la suggestione che ancora oggi si prova a passar da queste parti. Oltre alla pietà per le migliaia di morti. Ma riprenderemo il discorso, su alla forcella Fontananegra…..
Aggirato il Castelletto, che basta guardarlo a ritroso (foto 7) e se ne capisce bene l’importanza strategica, si procede sul sentiero 404 che scende lungo la suggestiva val Travenanzes: a dx le Tofane, a sx le Dolomiti di Fanes e le cime di Furcia Rossa. Oltre allo spettacolo della natura possiamo ripassare la storia geologica di questa terra, almeno di questi ultimi…. 200 milioni di anni: dal caratteristico rosso-verde dello Strato di Raibl (foto 8) alle stratificazioni della Tofana che consentono spettacolari camminate in cengia come la ferrata Lipella (foto 9). La discesa della val Travenanzes (foto 10) si prolungherebbe per molti chilometri (15 da col dei Bos a Pian de Loa!), ma abbiamo da completare il giro della Tofana di Rozes. Due le possibilità: la deviazione a dx su sentiero 403 per Majarié, prima del Cason di Travenanzes; oppure (molto prima) sempre a dx per la Scala del Minighèl. Scegliamo questa seconda opzione, la via più diretta. E quando si arriva all’attacco della ferrata (T 2,30 h da rif.Dibona), ai piedi del bastione roccioso che porta al Majarié (foto 11), se ne capisce il perché: è un salto di 80 metri attrezzato con 270 infissi che risalgono il costone in verticale (foto 12).
Tofana di Rozes
Un po’ di storia la Scala del Minighèl se la merita. Perché questa è la prima ferrata delle Dolomiti, costruita nel 1907 dal Minighèl , soprannome di Luigi Gilarduzzi (quassù ancora oggi si è conosciuti per nomignolo più che per nome), gestore del vicino Von Glanvell Hutte, appena inaugurato dal Club alpino austriaco. La Scala doveva consentire il collegamento diretto con il Majarié, il circo glaciale sovrastante, e col rifugio Tofana su alla forcella Fontananegra. Erano gli albori del turismo e dell’alpinismo.
Non durerà a lungo, né la Scala, né i rifugi. Danneggiata e disattivata nel periodo bellico, la ferrata verrà ripristinata solo nel 1957, così com’era, per preservarne la memoria storica prima che la funzionalità. E meno male, perché ricostruita con una concezione più “moderna” avrebbe perso la sua particolarità. Quella lunga serie di pioli piantati nella roccia nerastra che risale lo strapiombo in parallelo all’acqua che cade a cascata poco più in là sembra quasi una sfida. Romantica. Per non trascurare la sicurezza, tuttavia, è stato aggiunto un cavo d’acciaio che accompagna la salita e compensa l’imperfezione di qualche infisso, magari un po’ inclinato o scivoloso (foto 13,14,15,16). La salita si può dividere in 2 parti (la prima un po’ più diagonale, la seconda più verticale) separate da una breve cengia che sembra fatta apposta per guardarsi attorno . E ce n’è.... a cominciare dalla cascata che ci accompagna poco più in là (foto 17). Arrivati al piano di sopra al Majarié la sensazione è di aver fatto qualcosa di unico, indimenticabile. Giudizio finale: dal punto di vista puramente tecnico non è una ferrata difficile, solo molto esposta, col vuoto sotto i piedi e la parete di fianco. La classificazione EEA è una sintesi corretta. Tempo per la salita 20’.
Giunti al Majarié lo risaliamo su sentiero 403 (foto 18). Ci guardiamo intorno e ci immaginiamo il teatro di guerra che è stato, fin su alla forcella Fontananegra (400 mt. di dislivello, T 1 ora). Questo versante era occupato dagli austriaci che ne avevano individuato e trincerato i punti dominanti e quindi strategici: la forcella stessa, la cima della piccola Tofana (o Nemesis) sulla spalla nord-ovest della Tofana di Mezzo, le Tre Dita che sovrastavano il Majarié dall’altra parte (foto 19). Il cuore della contesa per il controllo delle Tofane era qui: innumerevoli i segni tra le rocce scavate per diventare postazioni e i camminamenti per collegarle. Ieri infrastrutture della guerra, oggi attrazioni escursionistiche: è la vita. Purché delle migliaia di morti si conservi memoria e della guerra rimanga non solo la retorica degli atti eroici (che pur ci sono stati) ma anche la storia di tanto sacrificio. E l’interrogativo: perché?...
Queste riflessioni non ne impediscono altre, di segno ben diverso: stiamo pur salendo tra montagne di incredibile fascino e suggestione, a dx la Tofana di Rozes, a sx le Tofane di Mezzo e di Dentro (de Inze, nel dialetto di qua). C’è da chiedersi quanto ne fossero consapevoli quei poveri alpini…. A questo proposito ricordo un appunto del tenente Carugati, che comandava il drappello italiano di stanza sulla cima della Tofana di Dentro (foto 20) in attesa dell’ordine di attaccare la Nemesis sottostante: “Alla notte, quando brillava la luna e Orione sovrastava Némesis, si poteva scordare la guerra….”. Némesis era il nome che il capitano Barborka aveva dato alla “piccola Tofana”, dove era ripiegato dalla cima della Tofana di Dentro conquistata dagli italiani, per motivare i suoi (pochi) soldati rimasti. La nemesi appunto, il destino che si capovolge, la riconquista. Era un uomo di cultura classica, il capitano Barborka, molto benvoluto dai suoi soldati, che lo chiamavano “il padre”, e stimato anche dagli italiani suoi avversari. Ne è testimonianza la lapide a lui dedicata e visibile nei pressi del rifugio Giussani (foto 21), in ricordo della battaglia di Fontananegra.
Tofana di Rozes_2
Si arriva al Giussani (foto 22), il punto più alto della giornata, a m.2580. E’ un bel rifugio in una posizione fantastica, incastrato tra una Tofana e l’altra (foto 23) dentro un museo storico (foto 24) e naturalistico di grande suggestione (foto25) sullo spartiacque tra Majarié e Travenanzes da una parte, Ampezzo dall’altra. La posizione indubbiamente privilegiata in tempo di pace, purtroppo lo è stata anche in tempo di guerra: le rovine ancora oggi ben visibili fanno capire quanta importanza strategica rappresentasse la forcella per il controllo delle Tofane e delle vallate.
Tra le rovine ritroviamo anche la storia dei rifugi di quassù (foto 26). Il primo è stato il rifugio Tofana, inaugurato nel 1886 e distrutto in guerra, poi parzialmente recuperato e utilizzato oggi come ricovero invernale; il secondo è stato il rifugio Cantore, inaugurato nel 1921 e dismesso quando nel 1972 si apre il Giussani. La fortuna di questo terzo rifugio, oltre all’invidiabile posizione, è certamente anche la gestione familiare e ormai storica (Dapoz, padre e figlio, da 50 anni!): una sosta qui non è solo per riposare….
Ma torniamo indietro, al secondo rifugio, il Cantore. L’intitolazione del rifugio ci consente di aprire un’altra finestra sulla storia, ancora oggi molto discussa. Perché il generale Cantore, comandante di Divisione, proprio qui è stato ucciso, agli inizi della guerra, il 20 luglio 1915.
Racconta la storia che quella mattina il generale era salito da Cortina fino all’avamposto italiano sotto la forcella per una ricognizione delle postazioni nemiche. Aveva un piano strategico che prevedeva la conquista della forcella per poi attaccare da dietro (risalendo la val Travenanzes) quello che costituiva il principale obiettivo: il Castelletto, la roccaforte più difficile da espugnare. Fu ucciso mentre col binocolo visionava il campo nemico, allo scoperto, incurante dei cecchini che da giorni avevano messo sotto tiro l’avamposto. Fu colpito in fronte da una pallottola e ucciso sul colpo.
Nella foto 27 si ha un’idea del contesto: sullo sfondo illuminata dal sole la punta Anna; più sotto sulla dx l’avamposto, davanti al quale sulla traccia di sentiero (direzione Bus de Tofana) a sx della cresta ghiaiosa un cippo indica dove cadde il generale. E’ interessante anche il primo piano della foto che ci dà l’indicazione della posizione del campo nemico e quindi della provenienza presumibile della pallottola. Questa almeno è la versione ufficiale, la più accreditata. A rimescolare le carte, si fece strada anni dopo un’altra ipotesi, basata sulla larghezza del foro del proiettile, in dotazione all’esercito italiano, non austriaco. Secondo questa versione sarebbe stato fuoco amico: la motivazione era da ricercare nel carattere notoriamente duro e autoritario che rendevano il generale Cantore inviso a molti, anche ufficiali. Questi soprattutto ne contestavano il piano d’attacco, troppo spericolato: per loro attaccare in salita, su questo terreno e contro forti linee difensive era come andare al massacro. Uno dei tanti, purtroppo….
Ma lasciamo in sospeso la questione e alla storia quello che è della storia, per rientrare sul sentiero 403 e scendere al nostro punto di partenza: il rifugio Dibona. Anche questa discesa è spettacolare, giusto per chiudere in bellezza: un bel sentiero che scende a serpentina tra le propaggini delle due Tofane (foto 28) con magnifica vista sulla val d’Ampezzo, i Lastoni di Formin, la Croda da Lago e il Pelmo (foto 29). Superata la deviazione a sx per la ferrata Ansaldi si ritorna a Valon de Tofana (foto 30), dove abbiamo iniziato il giro. Di qui al rifugio Dibona e alla macchina è una passeggiata.