COME CI SI ARRIVA
- da Misurina m.1756 (anche navetta) per strada militare a rif. Bosi m.2205 ore 1,40 T
- da lago d’Antorno m.1866 (sent.122, poi strada militare) a rif. Bosi m.2205 ore 1,30 T
- da Misurina Rinbianco m.1851 (sent.108 e 111) a forcella dei Castrati m.2272 ore2,30 E
- da Carbonin m.1437 per Sentiero dei Turisti (6A-111) a Piramide Carducci ore 3 EE
- da lago di Landro m.1403 per Sentiero dei Pionieri (6) al Monte Piano m.2305 ore 3 EEA
IL PERCORSO SCELTO
- salita da lago d’Antorno a rifugio Bosi (opzione n.2)
- giro monte Piana e Piano
- discesa da forcella Castrati a lago d’Antorno
La scelta risponde all’esigenza di compiere un percorso ad anello, con partenza e arrivo al lago d’Antorno. Parcheggio al lago: in gran parte zona-disco, ma non solo.
LA SALITA. Sulla strada delle Tre Cime, dopo 3-400 metri, s’incontra una deviazione sulla sx (sentiero 122) che porta per boschi a incrociare a forcella Bassa la rotabile che sale da Misurina. Si può continuare sullo stesso sentiero fino all’incrocio successivo a forcella Alta, per poi proseguire sulla rotabile fino al RIFUGIO BOSI. Qui la sosta è d’obbligo, e non solo perché è l’unico rifugio ma per quel che rappresenta, rispetto al monte Piana e alla sua storia. Il rifugio è stato costruito nel 1931, dov’era la Baracca di Comando italiano, e intitolato al maggiore Bosi, caduto all’inizio della guerra. Al rifugio, che ospita un piccolo ma significativo museo, è anche possibile acquistare materiale divulgativo. Una sosta davvero utile a entrare in sintonia con un ambiente molto particolare dal punto di vista storico e paesaggistico.
MONTE PIANA è una sintesi di contrasti assoluti: la guerra più assurda tra le montagne più belle, un belvedere privilegiato dove si è combattuto la guerra più inutile e crudele. Quassù 14.000 ragazzi son rimasti tali per sempre, saliti per non più ridiscendere: da allora monte Piana non potrà più essere solo bellezza. Sarà giornata intensa, dai sentimenti contrastanti, perché trincee e reticolati, gallerie e baracche sono ancora lì, emozionanti. Non è nemmeno il caso di indicare tempi di percorrenza: una scelta molto personale.
Il contrasto inizia già dal nome: si dice monte Piana ma bisogna distinguere. Il confine prima della guerra tagliava il monte, di qua Piana italiano, di là Piano austriaco. Anzi Pianto, come lo chiamavano con sinistra (per noi) premonizione. I due versanti erano separati dalla forcella dei Castrati. L’oggetto del contendere era proprio il monte Piano, che gli austriaci dovevano difendere e noi attaccare, passando per la forcella. Queste le intenzioni, questo il campo di battaglia, che ci proponiamo di visitare.
Ci dirigiamo sul sentiero che costeggia il monte sul bordo occidentale, sopra la val di Landro e il lago (foto 1). Incontriamo fortificazioni, gallerie e trincee di cui è evidente la funzione strategica di presidio della vallata (foto 2). Purtroppo sotto tiro dell’artiglieria austriaca, appostata oltre la valle sui monti vicini: Cristallo , Monte Specie, Picco di Vallandro, Croda Rossa. Arrivati alla sommità del monte Piana, segnalata da una croce sopra l’osservatorio di artiglieria (foto 3-4), ci inoltriamo nel cuore del monte e del campo italiano, tutto scavato da gallerie e trincee, ferite indelebili (foto 5). Ancora i contrasti: tra i reticolati spunta una croce, con le Tre Cime sullo sfondo (foto 6), e nelle trincee tornano i fiori: la natura sopra tutto (foto 7-8). Tornano i fiori, proprio come nell’ultimo film sulla Grande Guerra di Ermanno Olmi…..
Tra lapidi e croci numerosi sono i segni di pietà e di devozione, come la Campana dell’Amicizia (foto 9) dove un bimbo in preghiera fa riflettere sull’importanza della conoscenza, e quanto la storia possa insegnare. Nei pressi anche la piramide Carducci, che a queste montagne aveva dedicato l’Ode al Cadore.
Il Monte Piana
Proseguiamo. Ecco la FORCELLA DEI CASTRATI, davanti a noi, sotto di noi (foto 10). Questo spiega molto: per attaccare monte Piano bisognava scendere alla forcella e dopo risalire, sempre esposti al fuoco nemico. Come si è detto, gli austriaci erano in grado di scatenare un vero cerchio di fuoco dalle montagne attorno e dalle postazioni (preparate per tempo, e ben strutturate in cemento…) oltre la forcella. E così è stato. Il 15 luglio 1915 gli italiani attaccano la forcella. Dopo 5 giorni di battaglia vengono respinti lasciando sul terreno 800 uomini tra morti, feriti e dispersi. Questa battaglia resterà la più significativa di tutta la guerra. Dopo sarà una lunga guerra di logoramento, con brevi attacchi presto rintuzzati, e di consolidamento delle posizioni dal punto di vista difensivo e logistico. Una guerra tanto più crudele perché inutile, dove qualsiasi vittoria non sarebbe servita a nulla perché la montagna era solo un passaggio e agli austriaci neanche interessava di vincere: la tattica era quella di impegnare gli italiani in montagna, la vera strategia di sfondare in pianura. Come infatti avvenne, a Caporetto. E così i nostri soldati in una sola notte (il 3 novembre 1917, la notte dei Santi) devono ritirarsi da monte Piana, in dolorosa processione, sconfitti in tutto, con la risposta forse più straziante ai tanti perché della guerra: per niente! Per niente tutti i sacrifici, le fatiche, i compagni morti. Per niente le speranze, perché in qualcosa pur si credeva, o ti obbligavano a credere. Per niente anche gli eroismi che pur ci sono stati, fuor di retorica, anche perchè non si aveva niente da perdere.
Dopo queste note di guerra indispensabili -a nostro parere- se si vuol entrar nell’anima di monte Piana, resta da chiedersi perché tanti morti, se di vere battaglie dopo quella iniziale non ce n’è state e le posizioni, dopo 30 lunghi mesi, erano sostanzialmente le stesse. E’ perché, più che combattere, l’impegno era di sopravvivere. Altro che guerra di arditi a conquistar le cime immacolate, come da retorica prevalente all’epoca. Per noi è stata soprattutto una guerra di sopravvivenza, nel fango delle trincee, malnutriti e mal equipaggiati. Una guerra di inverni, di quegli inverni che allora in montagna duravano 9 mesi. Significativo il dispaccio del Comando italiano che, il 13 dicembre 1916, segnalava neve 7 metri, gradi meno 42. Morti di freddo, fame e malattie, per niente….
Da allora ogni inverno viene la neve e anche il prossimo, ma sarà neve pietosa, a coprire il monte come un candido sudario. Proprio come l’invocazione alla Signora della neve nel canto “Signore delle Cime”, quel canto che ci commuove sempre, quando lo dedichiamo a qualcuno. Sembra scritto per quei ragazzi: “Signore, il nostro fratello lascialo andare per le tue montagne”. E d’inverno a monte Piana, quando cala il silenzio e la luce allunga i suoi riflessi tra le pieghe del monte (foto 11-12), pare come di sentir le voci uscire dalle trincee. Finalmente in pace. Gli sia lieve la terra, e soffice la neve.
Il Monte Piana_2
Andiamo. Superata la forcella siamo a MONTE PIANO. Ci dirigiamo alla Croce di Dobbiaco, che è il punto più alto, a strapiombo sulla val di Landro (foto 13), da cui risalgono le serpentine del sentiero dei Pionieri (foto 14). Di qui rientriamo sul sentiero che va a attraversare in cengia l’impressionante bastione nord del monte, dov’era insediato il Comando austriaco (foto 15-16), un imprendibile nido delle aquile (per espugnarlo gli italiani avevano cominciato a scavare dall’altra parte del monte una galleria di mina). E’ ben visibile il binario a scartamento ridotto che collegava in galleria le varie postazioni e il vagone vicino all’ingresso (foto 17-18-19). Il percorso continua spettacolare, accompagnato nei tratti più esposti da una corda metallica, con vista sulle Tre Cime (foto da 20 a 23). Aggirato infine il versante est (foto 24) ci ritroviamo di nuovo alla forcella dei Castrati.
LA DISCESA. Questa volta non attraversiamo la forcella perché prendiamo a sx il sentiero 111 che scende in val Rinbianco. Suggeriamo questa discesa per poter godere di un panorama diverso rispetto all’andata, e comunque meraviglioso.
Sul fianco sud-est del monte incontriamo le ultime caverne e postazioni di guerra (foto 25-26), poi il sentiero prende a scendere con ripide serpentine e vista impagabile sui Cadini di Misurina (foto 27), oltre che sulle Tre Cime, tra mughi e larici. In fondo valle si attraversa il rin (ruscello) Bianco e si prende a dx il sentiero 108 che proviene dalla val di Rienza. Ci dirigiamo verso la malga Rinbianco su percorso molto piacevole costeggiando il ruscello tra bei boschi e prati: di fronte i Cadini, sempre più vicini (foto 28). Può essere molto piacevole anche una sosta in malga, per ristoro e acquisto di prodotti, se è orario di apertura, altrimenti si continua fino a incrociare la strada che scende dal rifugio Auronzo nei pressi del casello. Di qui, per la stessa strada, al lago d’Antorno (foto 30) e conseguente parcheggio.
P.S. Si può salire a Monte Piana anche d’inverno, ed è molto suggestivo. La strada che sale da Misurina di solito è ben battuta, salvo condizioni di neve particolari. Si può anche salire in motoslitta e affittare una slitta per la discesa. Sul monte, se si è fortunati, si può proseguire a piedi su pista praticabile fino alla Croce e piramide Carducci (foto 31-32). Il rifugio Bosi (foto 33) resta aperto nei fine-settimana.