PARTENZA e ARRIVO: San Vito di Cadore- parcheggio Baita Sunbar c/o Ski Area m.1120
ITINERARIO : rif. Scotter m.1580 h.1,20 - rif.San Marco m.1823 h.0,40 – forcella Grande m.2255 h.1,20 – biv. Slataper m.2600 h.1,40 – forcella del Bivacco m.2670 h.0,15
RITORNO: h. 3,30
DISLIVELLO: totale m.1550 TEMPO: totale h. 8,30-9,00
Percorso
Escursione tecnicamente facile, ma piuttosto lunga e faticosa (E). La fatica è però ampiamente compensata dallo scenario di giornata: lasciando alle spalle il Pelmo, si cammina tra l’Antelao, le Marmarole occidentali e alla fine il gruppo del Sorapiss con la croda Marcora alle cui pendici è il bivacco Slataper, la nostra meta con la vicina forcella del Bivacco. C’è anche un servizio navetta dal parcheggio c/o Ski Area, davanti alla baita Sunbar, fino al rifugio Scotter: non si perde granchè (il tratto a piedi è abbastanza noioso svolgendosi sullo stesso versante) e si guadagna tempo e dislivello. Fino a qualche anno fa c’era anche possibilità di salire al rifugio in seggiovia: dopo la frana dell’agosto 2015 (foto 1) che ne ha distrutto la stazione di partenza la seggiovia è stata riattivata, ma solo per l’inverno. Non è stata ancora riattivata invece la stradina comunale che passa alla base dell’Antelao: agibile resta la strada forestale sterrata, per la quale ci dirigiamo.
In poco più di un’ora si arriva al rifugio Scotter in posizione davvero invidiabile, in testa alla conca di San Vito, con il Pelmo a fare da sfondo sull’altro versante, e l’Antelao a sovrastare a est, le Marmarole con la cima Belprà e cima Scotter a nord. E’ un rifugio molto frequentato soprattutto d’inverno, per gli impianti da sci, la vista splendida e il sole tutto il giorno. Dopo una mattina di sci infatti non c’è nulla di meglio che fermarsi qui a un tavolo all’aperto, con la neve tutt’intorno, apprezzando la cucina del rifugio: per esempio la dufa, un piatto della tradizione (polenta, latte e burro fuso), povero come tante buone ricette di queste parti che ancora qualcuno s’impegna a salvare dall’oblio. La giornata di sci può anche finire così, con la dufa e uno strudel: una chiusura in bellezza nel senso vero, per quanto si vede. Aspettando che il sole si nasconda dietro il Pelmo.
Ma oggi non è così, e non solo per la neve che manca. La realtà è ben diversa, purtroppo. Infatti anche il rifugio è a rischio frane, chiuso. Almeno quest’estate 2019. Povere Dolomiti, tanto belle quanto fragili. Una riflessione però ce la portiamo dentro: tra frane, bombe d’acqua e torrenti che tracimano, tempesta Vaia… è proprio tutto inevitabile? Occorrerebbe fare prevenzione ma la prevenzione non porta consenso, come si sa, le Olimpiadi sì. Riflessioni…. quelle riflessioni che vengono più facili, quando si cammina in montagna da soli.
Si riprende il cammino sul sentiero 226 sopra il rifugio. Il sentiero taglia alla base le ghiaie che scendono dalle Marmarole in strana commistione coi mughi. E con qualche recente invasione di campo (foto 2). Attraversato un colatoio ogni anno (ahimè) più ampio, si entra nel bosco di alte conifere dove il sentiero si alza decisamente per tanti rivoli scavati dalle piogge, le radici degli alberi a far da gradini. Un passaggio trasversale fuori dal bosco permette di rinfrescarsi a un salto d’acqua tra i sassi. Il rifugio San Marco è poco più sopra, annunciato dal caratteristico belvedere. Un caffè di saluto e via, la strada è lunga, ci vediamo al ritorno. Questo rifugio vale una sosta vera, meno affrettata.
Bivacco Slataper
Ci attende il tratto più ripido e faticoso, sempre sul sentiero 226, risalendo il canalone detritico del Giou Scuro che porta alla forcella Grande. In forcella è meraviglia, con la Torre dei Sabbioni che fa da sentinella (foto 3) in uno scenario che cambia totalmente, come spesso succede in montagna. Il 226 proseguirebbe in discesa per il lungo e profondo vallon di San Vito, tra Sorapiss e Marmarole, fino alla foresta di Somadida in val d’Ansiei. Noi invece, lasciando sulla dx la Torre dei Sabbioni, prendiamo a sx il sentiero 246 che attraversa le pendici della Punta Taiola e Punta dei Ross dirigendosi verso la muraglia rocciosa dei monti della Caccia Grande (foto 4-5).
Aggirato lo sperone e tenendosi sul bordo del Fond de Ruseco, un anfiteatro spettacolare cui fanno corona la cima Sorapiss, i monti della Caccia Grande e le Tre Sorelle (foto 6), si prende a salire a sx per ghiaie e sfasciumi in direzione del bivacco Slataper che è già visibile in alto tra i lastroni, ai piedi della Croda Marcora. Tutto molto suggestivo, tra rocce e grandi silenzi. Qui è più facile incontrar camosci o stambecchi che persone. La sensazione prende corpo quando senti smuovere i sassi: sono proprio stambecchi (foto 7 → 10). Emozionante poterli avvicinare, relativamente s’intende. Sarà per quel patto ambientale di rispetto e condivisione, da creature dello stesso creato: più in basso non credo succederebbe.
Il BIVACCO SLATAPER, una scatola di lamiera rossa sui bianchi lastroni, incastonata tra le rocce di croda Marcora e i massi squadrati che scendono dalla punta dei Ross (foto 11-12). Che sia un rifugio di alta montagna prima della scalata, oppure un riparo di fortuna dalle minacce del tempo: qualunque sia la motivazione, nessuno che è passato di qui se ne dimenticherà, è sicuro. Anche perché poco sopra, alla forcella del Bivacco, comincia la mitica ferrata Berti, ed è lì che vogliamo salire per vedere almeno la partenza. Una perfetta scenografia intanto ci regala giochi di luce e ombre fantastici sullo Slataper e sulle cime intorno (foto 13-14-15).
Saliamo per lastroni aggirando le profonde spaccature (attenzione in caso di nebbia) e arriviamo in forcella, sotto la croda Marcora (foto 16). San Vito è 1500 metri sotto i nostri piedi... A est l’Antelao, con la cima nella solita nuvola (foto 17). Dalla forcella non si vede molto ma quello che si vede della ferrata è già significativo: da brividi il traverso iniziale molto esposto e il profondo camino verticale per cui si scende (foto 18-19) fino a incrociare la cengia del Banco, alla base della parete strapiombante su San Vito (foto 20). Quella traversata in cengia è ben visibile dalla valle del Boite: è il sogno di molti, col naso all’insù.
Ritorniamo verso lo Slataper, un puntino rosso nell’impressionante scenario dei monti della Caccia Grande (foto 21-22). Ma più ci avviciniamo più il puntino prende corpo e considerazione per quel che rappresenta: è come un rifugio, piccolo ma indispensabile perché non ce n’è altri, in una posizione incredibile, ai piedi del Sorapiss, dominante sul Valon di San Vito e tutto il fianco ovest delle Marmarole, dalla cima Belprà al Corno del Doge (foto 23-24).
Riprendiamo la discesa per lastroni segnati con bolli rossi e ometti (foto 25) fino a riprendere il sentiero 246. E’ lo stesso percorso d’andata ma la luce è cambiata e ci offre opportunità migliori dal punto di vista fotografico, sulla Torre dei Sabbioni, la Cima Belprà, l’Antelao, il Sorapiss stesso (foto 26→31). Il passaggio per la forcella Grande e la discesa al rifugio San Marco sul sentiero 226 avvengono già nella prospettiva eno-gastronomica che vale la sosta al rifugio. E non solo per questo.
Il RIFUGIO SAN MARCO. Un rifugio nel senso più vero. Inaugurato nel 1895 (!), è ancora quello, basta guardare le foto (32-33). In questo scrigno di pietra e sassi nascosto tra le piante che pare un disegno di bambini, coi suoi fiori rossi e le imposte color azzurro cielo, ne è passata di storia. Storia di imprese alpinistiche, di frequentazioni (anche un re e un futuro papa), e soprattutto di gestioni portate avanti con quello spirito di servizio che gli amanti delle alte vie (ne passano tre da queste parti) hanno saputo e sanno ben riconoscere. Se questo tipo di gestione, custode e interprete di valori che evidentemente sono riconosciuti e condivisi, sopravvive al tempo da 125 anni(!), questo è significativo e motivo di speranza.
Sentinella della tradizione, ma con i giusti adattamenti, è dal 1990 la famiglia Ossi, una famiglia che della montagna sa tutto: a cominciare da Marino, ex guida alpina, con la figlia Tania, che dirige il rifugio oltre a due figli, e d’inverno per non annoiarsi fa la maestra di sci. Di rinforzo c’è Edi, il marito di Tania, che è anche guida alpina e “accompagnatore di media montagna”, per farcela conoscere ed amare. E poi c’è Iva, moglie e madre, che la montagna la porta in cucina, coi suoi piatti eccellenti che sanno di Cadore e di Carnia, da dove viene. Insomma, una famiglia cui non fa difetto la vocazione, che vive per la montagna e di montagna. Senza retorica, si può. Anche senza l’inverno, quando il rifugio è chiuso (aperto solo il ricovero invernale).
Vien facile ma sarebbe riduttivo ritenere il San Marco un rifugio “come una volta”. Noi preferiamo definirlo un rifugio “come dev’essere”: in particolare un rifugio del CAI. Accogliente ed essenziale. Un rifugio del cuore.
Si parla spesso della montagna che si spopola e per sopravvivere ha bisogno dei grandi investimenti, in particolare sul turismo invernale. A noi piace rimarcare l’esistenza (e la resistenza) di tante piccole imprese spesso familiari che riescono a coniugare il rispetto dell’ambiente con la sua valorizzazione, la produzione con un consumo consapevole. I rifugi ma non solo.
Nella discesa ritroviamo il rifugio Scotter, un’altra preziosa risorsa di questa montagna, che va difesa e sostenuta. Di qui giù dritti per la pista di sci: dopo pietre e sassi è gradita l’erba.